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C’è
un mondo, lassù, che si chiama Amacem.
Non è più grande o più piccolo del nostro pianeta: è diverso.
Su Amacem le sorgenti
sono in basso, i fiumi salgono, le montagne sono di mare, e nelle
montagne nuotano
pesci che possono uscire dall’acqua e volare nel cielo, perché
le loro pinne sono anche
(riga 5) ali.
Tra i fiumi che salgono a formare le montagne, si stendono boschi
e prati. Gli alberi,
grandi e senza tronco, stanno sospesi a circa 10 metri dal suolo,
e non perdono mai
le foglie, perché mano a mano che le vecchie cadono, ne nascono
di nuove. I pesci-uccello
si posano spesso sui rami degli alberi a riposare.
(riga 10) Quando su Amacem soffia il vento, e soffia di frequente,
gli alberi si muovono rotolando
e mescolandosi in cielo da un orizzonte all’altro. Non ce n’è
uno che non abbia
fatto più volte il giro del mondo, sopra la terra erbosa. A volte
sfiorano i fianchi delle
montagne, leccando l’acqua con la punta delle foglie. A volte
bastano le gocce che gli
uccelli pesce, posandosi, lasciano cadere sui rami.
(riga 15) Qualche volta gli alberi si uniscono a gruppi di tre,
quattro, al massimo dieci, e restano
insieme per qualche tempo, come villaggi mobili e vegetali. Poi
torna il vento, i
piccoli boschi si sciolgono nel cielo, e altri se ne formano.
Sotto, sui prati verdissimi, simili ai nostri pascoli di montagna
ma molto più estesi,
ci sono fiori di fuoco profumato, che brillano di notte, fino
a quando il sole bianco di
(riga 20) Amacem, che si chiama Giglon, spunta all’orizzonte.
Non nasce a est, come da noi, ma
a ovest, ma questo non fa una grande differenza
Non ci stanno solo uccelli-pesce, fra i rami: gli Amacemi, gente
quieta e leggera,
vivono su quegli alberi in movimento. Non sono molto diversi da
noi, soltanto un po’
più magri, leggeri e chiari: alcuni di pelle azzurrognola, altri
rosa, altri arancione.
(riga 25) Dipende dal tipo di frutti o fiori di cui si nutrono,
proprio come i canarini terrestri.
Gli Amacemi non hanno capelli, ma una piccola nuvola mobile e
rossa, che è la loro
mente. Quando due di loro vogliono parlare, o giocare, si avvicinano
fino a mescolare
le nuvole in una sola, più grande, rossa e mobile.
Gli Amacemi possono parlare, perchè hanno lingua e orecchie simili
alle nostre,
(riga 30) ma usano la voce solo per cose di poco conto, e per
quelle importanti preferiscono mescolare
le menti. Sanno anche volare, ma stanno volentieri fra i rami
del loro albero, limitandosi
ai voli necessari. Spostandosi da un albero all’altro si scambiano
visite e
pensieri, si fanno festa e compagnia. Ma quando il vento comincia
a soffiare, e gli alberi
a rotolare in cielo, ciascuno saluta rapidamente e torna sul suo.
(riga 35) Qualche volta si incontrano di nuovo presto, qualche
volta dopo molti anni, qualche
volta non si incontrano più.
Ogni Amacemo vive su un albero mangiando frutti e fiori, che hanno
sapori in parte
uguali ai nostri, in parte diversi. Quando ha sete (gli Amacemi
la soffrono meno di
noi) vola a sfiorare una montagna: l’acqua delle montagne non
è salata, ha un lieve sa-
(riga 40) pore di limone. Qualche volta si dissetano con l’acqua
che gli alberi, sfiorando le montagne
di mare, raccolgono sulle foglie.
Quando un Amacemo si sente molto stanco, e non ha più desideri,
siede su un ramo
del suo albero e si addormenta. Presto non c’è più nessuno, e
l’albero ha un ramo
in più.
(riga 45) Gli Amacemi non sono né maschi né femmine, e non hanno
bisogno di esserlo,
perché nascono diversamente da noi. Quando uno di loro si sente
solo, tanto solo che
non gli basta la compagnia degli amici, comincia a pensare. Pensa
un nuovo Amacemo,
fatto così e così, con una certa faccia e un certo nome, e se
quello che ha pensato
gli piace, allora desidera che esista. A quel punto vola a cercare
un piccolissimo frutto
(riga 50) azzurro dal sapore di menta, che cresce nascosto nell’erba.
Quando l’ha trovato (cerca
cerca, lo trovano sempre), lo mangia e s’addormenta sul ramo più
comodo dell’albero.
Al suo risveglio, accanto a lui, c’è il nuovo Amacemo: ed è più
o meno come lui l’aveva
pensato.
A volte il nuovo Amacemo accetta il nome che gli è stato dato
nel pensiero, a volte
(riga 55) ne sceglie uno diverso. Non capita mai che un nuovo
Amacemo assomigli troppo a chi
l’ha pensato, perché nessuno vorrebbe stare insieme a uno uguale
a sé.
Dal momento in cui nasce, un Amacemo pensa e fa quello che vuole,
e se non si
trova bene sull’albero in cui è nato vola a cercarne un altro,
o un nuovo amico. Ma succede
di rado: quasi sempre il nuovo Amacemo, almeno per qualche tempo,
resta con
(riga 60) chi lo ha pensato, a parlare, giocare, volare con lui
sui prati o verso le montagne, mescolando
le nuvole. |
..ROBERTO
PIUMINI, Seme di Amacem |
Il verbo
«soffrono» (riga 38) in questo contesto significa
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