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Le cose di
per sé non hanno nessun nome. Sono gli uomini che hanno dato e
continuano a dare i nomi ad esse. Di solito non ci accorgiamo
di questa verità
perché siamo molto abituati a chiamare ogni cosa con un certo
nome. È tanto forte
l'abitudine di chiamare il cane col nome di cane, che
quell'animale ci sembra che
(riga 5) debba chiamarsi così. Eppure, lo stesso cane in spagnolo
si chiama perro, in
francese chien, in inglese dog, in tedesco
Hund…; quale sarebbe allora il «vero»
nome del cane? Evidentemente nessuno; oppure dobbiamo dire che
i «veri» nomi
del cane sono tutti quelli usati nelle varie lingue.
Gli uomini cominciarono a dare i nomi alle cose nella notte dei
tempi, con
(riga 10) sistemi che ignoriamo totalmente. Ogni tribù avrà avuto
i suoi motivi per dare al
cane, al sole, all'albero e a tutto ciò che vedeva e immaginava
certi nomi, che
furono diversi da quelli dati da altre tribù. Noi oggi non conosciamo
più quei
motivi; accettiamo e usiamo le parole così come ci sono arrivate.
Su di noi, invece,
influisce molto l'abitudine. È questa che ci fa sentire i nomi
strettamente legati alle
(riga 15) cose, concrete o astratte che siano.
Qualche esempio, a questo punto, può far capire meglio tutto il
discorso. La
cioccolata potrebbe essere chiamata con un altro nome qualsiasi
continuando a
restare quella che è; ma siccome siamo abituati a chiamarla cioccolata,
quando
pronunciamo questo nome abbiamo subito un'idea precisa di quella
cosa e magari
(riga 20) sentiamo anche l'acquolina in bocca! Allo stesso modo,
se una persona ha paura
dei cani (magari perché è stato morso una volta), al grido di
attento al cane! farà
un salto di spavento: la parola cane, che pure potrebbe
essere sostituita da un'altra,
in lui produce ormai quell'effetto.
Le parole, anche se sono nate per caso, possono dunque suggestionare
la
(riga 25) nostra mente e i nostri sensi: e proprio per effetto
di questa suggestione noi
impariamo facilmente le parole e ci abituiamo ad usare la lingua
con prontezza ed
efficacia.
Alcune parole, per la verità, non ci sembrano formate proprio
a caso. Ad
esempio, rimbombo, ùlulo, scricchiolìo, abbaiare, miagolare,
tintinnare sono
(riga 30) parole che chiaramente imitano un suono o un rumore
esterno. Eppure, anche
queste parole sono diverse da una lingua all'altra: gli studiosi
che si sono occupati
attentamente di questo fenomeno, hanno notato che per gli Italiani
il gallo fa
chicchirichì e l'oca qua-qua; mentre per i Francesi
il gallo fa cocoricò e l'oca
muàc-muàc o cuèn-cuèn; per gli Italiani lo sparo
faceva pum e il bussare toc-toc,
(riga 35) ma da quando si sono diffusi i fumetti, soprattutto
Topolino che viene
dall'America, lo sparo fa bang e il bussare fa knock,
perché gli Inglesi e gli
Americani riproducono così questi rumori.
Gli uomini, a quanto pare, hanno una sensazione diversa perfino
dei rumori
che colpiscono le loro orecchie. Questo conferma che le cose sono
quello che sono
(riga 40) e che noi cerchiamo di dare ad esse dei nomi secondo
le nostre impressioni. Ma
certo la stragrande maggioranza delle parole che oggi usiamo (del
tipo sole, cane,
strada, alto, bello, coraggio, attenzione, perché, sì, no),
per noi non imitano
proprio nulla. Se queste parole ci sembrano così adatte a esprimere
quei concetti
questo è dovuto solo all'abitudine. Il chiamare una cosa sempre
con quel nome ci
(riga 45) fa sentire nel nome quasi la "presenza" della cosa stessa. |
da:
F. Sabatini, La lingua e il nostro mondo, Torino, Loescher,
1978, pp. 25-26 |
Quale
delle seguenti forme si può sostituire al termine eppure
nella frase : «Eppure, lo stesso cane in
spagnolo si chiama perro...» (riga 5) ?
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