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[riga 1]
Jean Valjean è un ex galeotto. Nessuno è disposto ad accoglierlo
per la notte,
tranne il vescovo Myriel. Valjean, però, non ripaga la generosità
e scappa con
l’argenteria. Catturato e riportato dal vescovo, Myriel nonostante
tutto lo
scagiona raccontando di avergli donato le posate e gli dà anche
due cande-
[riga 5] lieri, perché con quel denaro si impegni a diventare
onesto: questo atto di
fiducia porrà le basi per la redenzione di Valjean, raccontata
da Victor Hugo
nel romanzo I Miserabili (1862). Una storia che ben illustra le
caratteristiche
della fiducia: concederla può essere rischioso, ma può anche spingere
gli altri
a mostrarsi affidabili. Con benefici per tutti.
[riga 10] Fidarsi è una necessità, se si vive in gruppo: senza
fiducia non ci può
essere cooperazione sociale, grazie alla quale si ottengono risultati
che non
si potrebbero avere da soli. Pensiamo ai gruppi di cacciatori-raccoglitori:
nella
caccia e nella distribuzione delle prede è indispensabile aspettarsi
che ognuno
faccia la sua parte e che prenda ciò che gli spetta. La capacità
di fidarsi,
[riga 15] sì, ma anche di essere affidabile e di farlo capire,
è stata quindi un vantaggio
nell’evoluzione.
In fondo, appoggiarsi agli altri è un meccanismo naturale, fin
dall’inizio.
«L’uomo nasce pronto a riconoscere qualcuno a cui affidarsi, da
cui dipendere
totalmente» aggiunge Antonella Marchetti, docente di psicologia
dello
[riga 20] sviluppo e dell’educazione all’Università Cattolica
di Milano.
Indispensabile, quindi, la fiducia, benché rischiosa. È il suo
paradosso:
cooperando si ottiene il risultato migliore per tutti, benché
ci sia sempre il
rischio di un tradimento. Un salto nel vuoto, insomma, come quello
di un
trapezista che si aspetta di essere preso dal compagno. Una situazione
in cui
[riga 25] ci troviamo più spesso di quanto ci rendiamo conto,
perché ogni azione
sociale implica un atteggiamento fiduciario: nell’amicizia, nell’amore,
nei
rapporti di lavoro... Ci fidiamo degli amici, naturalmente: per
esempio ci
aspettiamo che non rivelino i nostri segreti. Ma anche che lo
stipendio ci
venga pagato e sia giusto, che il postino non legga la nostra
posta, che il
[riga 30] provider internet non usi i nostri dati, che chi incontriamo
per strada ci dia
l’informazione giusta... Non avremmo tempo e possibilità di controllare
ogni
cosa.
In economia la percezione di affidabilità di un Paese e della
correttezza
delle sue istituzioni attira investimenti e favorisce gli scambi.
Del resto, in
[riga 35] ogni transazione commerciale c’è un elemento di fiducia
perché nessun contratto
potrà assicurarci su tutto. Pensiamo agli acquisti su eBay: ci
fidiamo,
anche sulla base delle segnalazioni di altri utenti e quindi della
reputazione
del venditore. Questo meccanismo è stato fondamentale nella storia
del commercio:
ai mercanti di Venezia o Genova venivano affidate merci perché
fos-
[riga 40] sero vendute lontano, fuori dalla possibilità di controllo,
basandosi sulla loro
reputazione e affidabilità. Quanto possano funzionare i meccanismi
della
fiducia è dimostrato da esperienze come quella della Grameen Bank,
la banca
del microcredito nata in Bangladesh nel 1976 per concedere prestiti
a chi non
può offrire le garanzie di solito richieste: nonostante questo,
il tasso di resti-
[riga 45] tuzione dei prestiti è molto alto (i1 94%), più della
media delle banche del
Paese. La fiducia, infatti, genera... affidabilità.
[…]
Tuttavia, sappiamo che un po’ di prudenza è d’obbligo. Anche se
non
sempre ci può essere una valutazione razionale. «Per questo ogni
volta che
[riga 50] ci troviamo a interagire con altri, dal commesso di
un negozio alla persona
con cui chiacchieriamo in treno, ci interroghiamo: “È affidabile?”.
È un giudizio
inconsapevole e rapido. Valutiamo soprattutto lo sguardo, tendendo
a
diffidare di chi non guarda negli occhi, ma anche l’espressione,
l’aspetto, la
voce» dice Marchetti. «E in questa valutazione istantanea a volte
entrano in
[riga 55] gioco pregiudizi e stereotipi: “Non mi fido perché quelli
lì sono violenti, ladri,
pericolosi”. E pesano due processi: il sospetto verso chi è diverso
o estraneo
al gruppo, e la difficoltà di interpretare velocemente le intenzioni
di chi ha
una cultura diversa, con una lingua e regole di espressione delle
emozioni
differenti; questo fa sì che la valutazione “mi fido o no?” sia
più lenta e insi-
[riga 60] cura. Per superare la sfiducia verso lo straniero, considerato
una minaccia,
servono perciò conoscenza ed empatia: la capacità di immedesimarsi
nei
problemi degli altri».
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(adattato da G. Camardo, «Focus», 209, Marzo
2010)
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L'autore
racconta la trama dei Miserabili di Hugo per
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