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In tempi
molto antichi, di cui conosciamo la storia solo perché ci sono
rimasti
certi vecchi libri, la città di Huma era dominata dal tiranno
Kum: un uomo,
dicono, di forza eccezionale, ricco e crudele. Huma aveva conosciuto
altri
tiranni, prima di Kum: ma nessuno dotato di una fantasia così
perversa
(riga 5) nell’immaginare i più vari sistemi per tormentare i suoi
sudditi.
Una mattina Kum mandò a chiamare il suo Primo Consigliere, un
certo Men,
che era al tempo stesso capo delle guardie e ministro delle prigioni.
– Chi sono io? – domandò Kum a Men, con voce minacciosa.
– Voi siete il nostro signore e padrone, il vostro piede è una
carezza per il
(riga 10) nostro collo – fu la risposta.
– Ben detto – ruggì Kum. – E se tu avessi risposto in altro modo
ti avrei fatto
tagliare la testa. E dimmi ora: chi è il padrone di Huma?
– Tu sei il padrone della città e di tutti i cittadini. Fin l’ultimo
capello che ci
cresce in capo è roba tua; e tua è la polvere che il vento ci
soffia negli occhi.
(riga 15) – Fai presto a parlare di capelli – rise Kum: infatti
Men era calvo, aveva la
testa più liscia di un paracarro. La risposta, tuttavia, aveva
messo di buon umore
il tiranno, che così proseguì:
– Ascolta. Tutto è mio, lo so, e lo sanno tutti. Ma questo mi
è di poco
vantaggio. Mia è la terra, e i contadini mi pagano l’affitto.
Sono mie le strade, e
(riga 20) la gente deve pagarmi una tassa per potervi camminare.
Mia è l’acqua, e i miei
fedeli sudditi me la pagano in argento sonante. Ma vi sono ancora
molte cose
mie, bada bene, mie e di nessun altro, che il popolo si piglia
a suo piacere,
truffando il suo padrone. Mia è l’aria, e ciascuno la respira
a piacimento. Mio è
il sole, e i contadini si pigliano gratis i suoi raggi per far
crescere il grano e far
(riga 25) seccare il fieno. Mia è la luna, e la gente passeggia
la notte lungo il fiume, al suo
lume. È la verità: voi vi prendete il lume di luna, voi lo consumate
senza
risparmio. E che farò quando la luna sarà tutta consumata?
Il povero Men non si sforzò nemmeno di immaginare che cosa sarebbe
successo in questo caso. Siccome, però, era tutt’altro che stupido,
capì subito
(riga 30) dove andava a parare il discorso del tiranno, e si affrettò
a precederlo, come il
cane che spicca un salto per arrivare in casa prima del padrone.
– Signore amabilissimo – sussurrò accarezzando la pantofola di
Kum –
perdonami per tanta sbadataggine. Avrei dovuto pensarci da un
pezzo. Perché
non mettiamo una tassa sulla luna? Una piccola tassa…
(riga 35) – Perché piccola? – tuonò Kum.
– Non volevo dire piccola, signore. Ho detto piccola? Mi taglierò
la lingua per
castigarla. Una grossa tassa, volevo dire. Una moneta d’argento
per ogni raggio.
– Due! – gridò Kum, pestando la sua pantofola dorata sul naso
del Primo
Consigliere. – Due monete d’argento! E subito. A cominciare da
questa sera.
(riga 40) Date subito gli ordini necessari.
– Questa sera non vi sarà luna, Eccellenza.
– Non vi sarà luna? E come ti permetti di dirmelo?
Fu necessario chiamare astronomi e astrologhi di corte per convincere
Kum
che – per quanto la luna fosse sua proprietà – non sarebbe apparsa
prima di due
(riga 45) giorni. In quei due giorni Men preparò gli editti sulla
tassa e per riscuoterla
costituì uno speciale corpo di polizia, detto delle «Guardie della
luna».
Le Guardie della luna si nascosero nei portoni, sotto i ponti,
sotto le panchine
dei giardini pubblici, dentro le fontane, tra le fronde degli
alberi, e perfino nei
tombini e nelle fogne.
(riga 50) Venne la sera, la luna spuntò. La gente camminava a
testa bassa per non
guardarla, con grande rabbia delle Guardie. Soltanto una vecchina
alzò il capo,
mentre attraversava la strada: subito le guardie balzarono fuori
dai loro
nascondigli e le furono addosso.
Povera vecchia: una moneta d’argento non l’aveva mai vista in
vita sua.
(riga 55) Aveva in tasca una mela, tutta la sua cena: le presero
quella, per ripagarsi.
Per quella prima notte, ci cascarono i forestieri, i viaggiatori
di passaggio, che
non conoscevano le leggi del signor Kum. Ma la voce si diffuse
ben presto e le
sere successive anche i forestieri, passando per la città di Huma
impararono ad
abbassare la testa.
(riga 60) Il signor Kum mandò a chiamare il Primo Consigliere
Men.
– Ordinate a tutti i cittadini di camminare a testa alta! – strillò,
picchiando il
disgraziato Men con uno schiaccianoci che gli serviva per passare
il tempo.
– Chiunque camminerà a testa bassa pagherà una multa. E intanto,
cacciate in
prigione una guardia della luna ogni cinque. Impareranno a fare
il loro dovere.
(riga 65) Men si inchinò sorridendo, disse che non aveva mai sentito
una decisione
tanto giusta e corse a mettere in prigione le guardie e a far
conoscere i nuovi
ordini.
Quella sera i cittadini di Huma, come se si fossero passati la
parola, uscirono
tutti con gli occhiali neri da sole. A testa alta, naturalmente,
come aveva
(riga 70) ordinato il signor Kum.
Le Guardie si stropicciarono le mani e cavarono di tasca i libretti.
– Questa volta non ce la fate. Fuori le monete d’argento.
– Perché?
– Come, perché? State guardando la luna, o no? E di chi è la luna?
(riga 75) – Dell’eccellentissimo signor Kum, questo non si mette
nemmeno in dubbio.
Però noi non la vediamo, per colpa di questi occhialacci neri.
E se non la
vediamo, non la consumiamo e quindi, perché dovremmo pagare la
tassa?
Le Guardie della luna volevano mangiarsi le dita per la rabbia;
ma il signor
Kum non aveva ancora proibito di portare gli occhiali neri. Ne
ebbe tanto
(riga 80) dispetto che si ammalò e morì.
Sul letto di morte ordinò al Primo Consigliere Men: – Voglio che
la mia luna
sia sepolta con me, nella mia stessa tomba.
Men promise: – Sarà fatto.
Ma non fu fatto, vero? La luna è ancora in cielo, vero? La luna
è di tutti, come
(riga 85) l’aria, come il sole, come il mare, come la strada.
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Tratto
e adattato da: G. Rodari, Fiabe lunghe un sorriso, Editori Riuniti,
Roma, 1987 |
Che cosa
vuole dire l’autore quando afferma che la città di Huma «aveva
conosciuto altri tiranni , prima di Kum: ma nessuno dotato di una
fantasia così perversa…» (righe 3-4) ?
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