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Una volta
c’erano quattro fratelli. Tre erano piccolissimi ma tanto furbi,
il
quarto era un gigante dalla forza smisurata ma era molto meno
furbo degli altri.
La forza ce l’aveva nelle mani e nelle braccia, ma l’intelligenza
ce l’aveva
nei capelli. I suoi furbi fratellini gli tagliavano i capelli
corti corti, perché
(riga 5) restasse sempre un po’ tonto, e poi tutti i lavori li
facevano fare a lui, che era
tanto forte, e loro stavano a guardarlo e intascavano il guadagno.
Lui doveva arare i campi, lui spaccare la legna, fare girare la
ruota del
mulino, tirare il carretto al posto del cavallo, e i suoi furbi
fratellini sedevano a
cassetta e lo guidavano a suon di frusta.
(riga 10) E mentre sedevano a cassetta tenevano d’occhio la sua
testa e dicevano:
— Come stai bene con i capelli corti.
— Ah, la vera bellezza non sta mica nei riccioli.
— Guardate quel ciuffo che si allunga: stasera ci vorrà un colpetto
di forbici.
Intanto si strizzavano l’occhio, si davano allegre gomitate nei
fianchi e al
(riga 15) mercato intascavano i soldi, andavano all’osteria e
lasciavano il gigante a fare la
guardia al carretto.
Da mangiare gliene davano abbastanza perché potesse lavorare;
da bere poi,
gliene davano ogni volta che aveva sete, ma solo vino di fontana.
Un giorno il gigante si ammalò. I suoi fratellini, per paura che
morisse mentre
(riga 20) era ancora buono a lavorare, fecero venire i migliori
medici del paese a curarlo,
gli davano da bere le medicine più costose e gli portavano la
colazione a letto.
E chi aggiustava i cuscini, chi gli rimboccava le coperte. E intanto
gli
dicevano:
— Vedi quanto ti vogliamo bene? Tu dunque, non morire, non farci
questo
(riga 25) torto.
Erano tanto preoccupati per la sua salute, che si dimenticarono
di tener
d’occhio la capigliatura. I capelli ebbero il tempo di crescere
lunghi come non
erano mai stati e con i capelli tornò al gigante tutta la sua
intelligenza.
Egli cominciò a riflettere, a osservare i suoi fratellini, a sommare
due più due
(riga 30) e quattro più quattro. Comprese finalmente quanto essi
fossero stati perfidi, e lui
tonto, ma subito non disse nulla. Aspettò che gli tornassero le
forze e una
mattina, mentre i suoi fratellini dormivano ancora, egli si alzò,
li legò come
salami e li caricò sul carretto.
— Dove ci porti, fratello caro, dove porti i tuoi amati fratellini?
(riga 35) — Ora vedrete.
Li portò alla stazione, li ficcò in treno legati come stavano
e per tutto saluto
disse loro: — Andatevene, e non fatevi più rivedere da queste
parti. Mi avete
ingannato abbastanza. Adesso il padrone sono io.
Il treno fischiò, le ruote si mossero, ma i tre furbi fratellini
se ne stettero
(riga 40) buoni buoni al loro posto e nessuno li ha rivisti mai
più. |
G.
Rodari, in Favole al telefono, Torino, Einaudi, 1962, pp. 46-47 |
Perchè
i fratelli dicono al gigante che sta bene con i capelli corti ?
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